Vivere nella foresta tropicale: un’esperienza da provare

Quando ho accettato di fare volontariato nel bel mezzo della foresta tropicale non avevo idea di cosa mi aspettasse realmente. Ci sono vari modi di vivere a contatto con la natura: quello di andare a stare su una piattaforma circondati da una selva di piante e animali è senz’altro uno dei piú estremi! Qui vi racconto della mia esperienza di volontariato agricolo in una delle zone più belle e remote della Costa Rica, non lontano dal parco nazionale di Corcovado, noto per la sua immensa biodiversità di piante e animali.

Uno scorcio del rio Agujitas alle prima luci del mattino

Questa è stata finora la scelta di vita più insolita che ho fatto, ma ne sono davvero felice e voglio condividere con voi ciò che mi ha lasciato. Se vi interessa l’argomento vi consiglio di leggere della mia prima esperienza di volontariato agricolo e perché la consiglio da provare almeno una volta nella vita 😉

Il livello di comfort nel quale viviamo in societá è incredibilmente alto e non te ne rendi conto finchè i suddetti comfort non vengono a mancare. Interessante è il fatto che per sopravvivere, ma anche per vivere bene, tutta questa cornice di ovatta di cui ci circondiamo in fondo non serve.

Per viaggiare low-cost in Costa Rica in diverse occasioni ho barattato alcune ore al giorno della mia manodopera in cambio di vitto e alloggio.  La mia giornata tipo nella giungla di baia Drake vedeva perció sempre una parte lavorativa e una parte di riposo ed esplorazione dei dintorni.

Noi volontari vivevamo su una piattaforma sopraelevata e aperta in mezzo alla foresta, circondata da piante di cacao e banano. Pernottavamo in tende da campeggio su questo grande soppalco di legno, che al centro aveva un bancone con l’attrezzatura di una rudimentale cucina. Sotto la piattaforma c’erano una doccia e un bagno, a fianco una cisterna con l’acqua di cui ci rifornivamo dal vicino fiume. Scimmie, tucani e una marea di altri uccelli vivevano nella foresta tutto intorno alla piattaforma e il loro coro di voci era la nostra sveglia mattutina.

La finca Rio Agujitas, una piattaforma in mezzo alla foresta tropicale di baia Drake

Per quanto il nostro modello di vita non fosse purtroppo a impatto zero, cercavamo di limitare i consumi. L’energia elettrica che usavamo era esclusivamente quella dei pannelli solari montati sul tetto: sufficiente per avere luce nelle prime ore della sera e caricare qualche apparato elettronico alla corrente, ma impossibile per allacciare alcun tipo di elettrodomestico. Il cibo andava finito alla svelta per la mancanza di un frigo, o conservato con cautela per evitare un’invasione di insetti e formiche. I vestiti venivano lavati nel fiume (io usavo sapone organico), perché una lavatrice avrebbe consumato e ovviamente inquinato troppo. L’acqua del fiume era la stessa che, minimamente filtrata, veniva raccolta in una cisterna, depurata e usata per la doccia.
Durante le camminate nei dintorni abbiamo imparato a conoscere il mango, i frutti dell’anacardo, le carrube, le noci di cocco e visto crescere gli ananas (che maturavano lentamente, non con i tempi accelerati dell’industria), le mele d’acqua e le banane delle piantagioni vicine.

Nella foresta non c’era ricezione internet. Il televisore trasmetteva miracolosamente un solo canale tutto pixelato, ma obiettivamente a nessuno interessava guardarlo. Dopo la giornata di lavoro e con la sveglia mattutina di schiamazzi animali, era più che probabile che tutti crollassimo al più tardi per le nove.

Due settimane sono volate e tra una semina di fagioli e una di mais, una camminata lungo il fiume e un’escursione nel bosco, pian piano i dintorni della piattaforma mi sono diventati familiari. Tuttavia la foresta è per me rimasta inesplorata di notte e solo settimane più tardi sono riuscita a partecipare ad un tour alla ricerca di insetti e altri animali notturni. Ne eravamo praticamente circondati e dovevamo sempre usare prudenza, che fosse nell’infilarci gli stivali da lavoro (qualche ragno o lucertola poteva essercisi nascosto dentro) o nell’aprire la porta del bagno o della doccia (ragni, scorpioni, rane e serpenti erano da tenere in conto). Le poche volte che ci allontanavamo dalla piattaforma al crepuscolo o di notte una buona torcia era d’obbligo non solo per vedere dove mettere i piedi, ma anche per essere visti e intimidire possibili animali nei dintorni.

Cosa porto con me oggi di questa esperienza di vita?

1) La consapevolezza che si può vivere con ciò che offre la natura. La nostra attività di volontariato non era così ben amministrata e alle volte il cibo offerto era un po’ scarso. Perché integrare di tasca nostra se eravamo circondati da una natura così rigogliosa? Era la stagione del mango e le strade che portavano in paese e alla spiaggia erano costeggiate da alberi di frutti maturi che puntualmente raccoglievamo. Senza contare le banane della finca stessa!

Un coatì pappandosi le banane per la nostra colazione

2) La soddisfazione dell’essere riuscita a vivere bene con poco e riconoscere che posso fare a meno di molte cose mi fa sentire meno dipendente da queste. Non ho bisogno di lavare i miei vestiti in lavatrice se posso comunque usufruire di una fonte di acqua pulita. Non mi serve un frigorifero se consumo giornalmente il cibo fresco di cui dispongo, così evito anche di sprecarlo. Posso fare a meno di una connessione e di un continuo intercambio col mondo esterno, specie se attraverso questa “mancanza” ho l’opportunità di scoprire più a fondo l’ambiente unico della foresta.

3) La coscienza del mio impatto ambientale sull’ambiente e di come dipendiamo da esso. Almeno una parte delle conseguenze del tuo personale impatto ambientale diventa evidente quando vivi a stretto contatto con le tue fonti di approvvigionamento e devi gestire i tuoi rifiuti nell’immediato. Ancora più importante è stato per me notare quanto fossimo dipendenti dal nostro ambiente circostante. Nel cammino dal paese alla finca si doveva guadare un fiume a piedi in più punti: se pioveva e il fiume si ingrossava l’accesso alla piattaforma diventava difficile. Se le sue acque si sporcavano il nostro approvvigionamento d’acqua era compromesso. C’erano cose su cui non avevamo il minimo controllo, come le piogge, ma altre che dipendevano interamente da noi, come la gestione dell’acqua. E’ stato essenziale imparare a conoscere le seconde.

Le conseguenze del guadare il fiume con l’acqua alta

4) La sensazione che questa potrebbe essere una mia scelta di vita futura. Avevo sottovalutato la possibilità di immergermi così tanto nel lavoro agricolo e non l’avevo mai preso troppo in considerazione come attività da approfondire. Mi sono però resa conto che coltivare il proprio orto concede una notevole indipendenza economica e una migliore panoramica sul cibo che mangiamo. Il mio pollice verde deve ancora farne di strada, ma è pur sempre un inizio.

E voi che ne dite? Vi incuriosisce provare un’esperienza simile?

Author: Fiorella

Poliglotta e viaggiatrice improvvisata. Ho vissuto in Germania, Cina e Costa Rica. In questo blog racconto della mia vita a contatto con la cultura dei paesi in cui vivo, delle mie riflessioni ed avventure quotidiane e delle mie esperienze di viaggi.

10 Replies to “Vivere nella foresta tropicale: un’esperienza da provare

  1. Coltivare il proprio orto paga sempre. Anche se fosse solo per avere del balisico profumato in Germania. Ti abbraccio.

  2. La tua esperienza è decisamente interessante, io sono molto attratta dal minimalismo, ma non avevo neanche mai considerato una scelta così estrema seppur a tempo determinato. Ti ammiro molto per la resistenza, anzi resilienza 🙂

    1. Grazie Paola, è davvero un bel complimento! TI dirò, è stata una scelta consapevole fino a un certo punto, nel senso che sì volevo un certo ritiro dalla società, ma non immaginavo sotto che forme si sarebbe realizzato. Quindi forse non ero nemmeno così preparata, ma lo spirito di sopravvivenza vince sempre 🙂

  3. un’esperienza davvero interessante e soprattutto da ammirare…non deve essere facile lasciare gli agi della vita moderna per vivere soltanto di ciò che la natura ti offre. Davvero complimenti

    1. Ti ringrazio Chiara 🙂 Ci tengo a dire che non bisogna essere Lara Croft per avventurarsi in ambienti selvaggi, basta comportarsi con buon senso e avere soprattutto un buon spirito di adattamento. Detto ciò, anche io non mi ci vedevo all’inizio, poi invece sono riuscita a viverla inaspettatamente bene 🙂

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