Il tempo scorre in modo diverso per chi si trova a vivere realtà differenti. Per i miei familiari e alcuni amici, a due mesi dal mio ritorno dalla Cina era come se avessi già fatto le valigie e fossi pronta a imbarcarmi per l’Italia. Dato il mio periodo di permanenza previsto di circa un anno, è ovvio che l’attesa di chi è a casa si dilata e, paradossalmente, dopo oltre nove mesi i restanti si può immaginare che voleranno.
La domanda più classica, che arriva di volta in volta posta in termini diversi, ma il cui succo è lo stesso, è anche quella che mi dà più da fare:
“Come vedi il bilancio di quest’anno in Cina? Com’è andata questa esperienza?”
Diamine. Dunque, tra i pilastri fondatori di questo blog c’è sempre stata la volontà di raccontare, non solo per far conoscere la vita in Cina altrove per come è davvero, ma anche per non lasciare troppo non detto tra me e i miei contatti in Italia. Tuttavia, continuo a sentirmi sopraffatta da una domanda del genere, neanche fossi in grado, così, su due piedi, di riassumere da cima a fondo un anno della mia vita.
“Bilancio” poi è una parola che non mi sconfinfera, per me è troppo legata al mondo del marketing: dà la sensazione di dover misurare le esperienze in termini di pesi su una bilancia, dove se quelli negativi sono maggiori di quelli positivi, allora il gioco forse non è proprio valso la candela. Palle.
Non tutto ciò che si vive e si apprende è quantificabile. Qui scrivo di cosa ho imparato dopo un anno in Cina.
In realtà ho trovato una soluzione piuttosto diplomatica al quesito di cui sopra. Tante sono le persone che da casa chiedono di me senza contattarmi direttamente, meno sono quelle che ho sentito ogni tanto, e ancora meno sono coloro che hanno dimostrato un qualche interesse verso ciò che sto vivendo o che hanno tenuto contatti più stretti con me in questo lasso di tempo.
Questo breve elenco mi serve per distinguere varie categorie: probabilmente saranno molte di più le persone che si faranno avanti con questa domanda al mio ritorno e ognuno avrà un bagaglio diverso di informazioni e/o pregiudizi sulla Cina, nonché un differente legame con la sottoscritta.
Come gestire tanta diversità di destinatari davanti ad una domanda così importante? Dunque, io ho pensato che potrei tentare una replica del tipo:
“Vuoi una risposta breve, una risposta da dieci minuti, oppure ci sediamo a bere un paio di birre?”
Così penso di aver trovato un modo per differenziare tra chi una risposta forse ce l’ha già in mente e vuole sentirsi dire qualcosa che la confermi o la neghi, chi magari ha un vago interesse nel sentire quello che posso avere da raccontare, ma scarso tempo o un rapporto non così stretto con me, e chi invece è disposto ad ascoltare le miei elucubrazioni e soprattutto ama la birra 🙂
Credetemi, non ce l’ho con chi non si interessa per l’estero o per chi viaggia. Ma non posso fare a meno di vedere continuamente gente approcciarsi ai viaggiatori come fossero tutti dei vacanzieri: neanche partissimo con valigie e occhiali da sole, e tornassimo con in più solo tante foto fighe da fare vedere e souvenir da distribuire. Il bagaglio del viaggio è sì quello che ci portiamo appresso dietro o sulle spalle, ma anche e soprattutto quello che abbiamo dentro, nel cuore e nella testa.
Vivere all’estero non significa fare la bella vita: molto dipende dallo scopo con cui si viaggia, dal dove, ma soprattutto da quanto si sta via. Spesso è proprio quest’ultima carta a cambiare le regole del gioco: chi viaggia vive e cambia ad un ritmo accelerato rispetto a chi vive una routine più o meno assestata. E quando si fa ritorno tutto sembra non essersi mai mosso, ma solo perché si è vissuto a ritmi diversi. Non è come tornare da una vacanza: rientrare da un soggiorno all’estero vuol dire dover tornare a cambiare nuovamente assetto, cercare di riprendere abitudini, riallacciare contatti e ristabilire una continuità per andare avanti.
Non è scontato riuscire a ritrovarsi subito: il paese che si lascia, a volte addirittura anche le persone, con i loro modi di fare e di pensare, nel mentre possono diventare un po’ estranei. Serve sicuramente tempo per riambientarsi, ma anche una buona dose di pazienza e disponibilità all’ascolto da parte di chi ci vede solo partire e tornare, perdendosi in gran parte ciò che c’è stato nel mezzo. Sono cose di cui bisogna parlare, che vanno raccontate per far capire che chi torna, semplicemente non è più la stessa persona che è partita. Accettarlo significa portare avanti un’amicizia o qualsivoglia tipo di rapporto ad un livello profondo, maturo e costruttivo per entrambe le parti.
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