Partire…e come immagino sarà tornare

IMG_2060Sarà che sono ormai giunta al giro di boa della mia permanenza in Cina, ultimamente penso spesso a come tutto questo è iniziato e come e quando finirà. Perché non ho ancora un volo di ritorno.
Non ho una memoria particolarmente buona e purtroppo tendo a veder sfumare nella mia mente attimi di vita vissuti anche pochi giorni addietro. Ma ricordo abbastanza nitidamente il giorno della mia partenza e le emozioni ad esso legate. Per quanto adori viaggiare e sia convinta di quanto il venire qui per me sia stato tanto voluto quanto necessario, vorrei non dover mai rivivere un momento simile.

Tendo sempre a pensare che il viaggio mi dia una certa carica per incominciare una nuova esperienza: sull’aereo (perché ultimamente mi sono quasi sempre spostata così) trovo modo di ritrovarmi con me stessa e rendermi conto che ce la posso fare. Sento di volerla in fondo questa nuova avventura. E mi rendo conto di quanto, solitamente, il viaggiare da sola mi faccia sentire libera e sicura delle mie capacità.
La parabola dell’adattamento in una nuova località la ritenevo ormai cosa familiare, dati i miei precedenti soggiorni all’estero in terra europea. Ma in Cina ho dovuto fare i conti con altre variabili che non potevo conoscere, se non prima di piombarci in mezzo e viverle in prima persona.

Nella vita di tutti i giorni è semplicemente impossibile stabilire una routine. Manca qualcosa a cui potersi appigliare, perché tutto viene inevitabilmente regolato sul momento. Non si fanno piani, tutto resta sempre ancora negoziabile.
Paradossalmente, gli aspetti che consideravo come problematici prima di partire sono quelli che mi hanno dato meno problemi di adattamento una volta arrivata. Come il cibo e l’inquinamento. Sono cose a cui ci si abitua e se possibile il cibo addirittura aiuta.
La lingua è lo scoglio principale: pochissime persone sanno l’inglese e, anche nel caso, sembra non abbiano voglia o non sentano il bisogno di usarlo per venirti incontro. Spesso nemmeno nell’ufficio internazionale cui si rivolgono gli studenti stranieri per problemi con l’università.
Il non parlare mandarino fluente non è però l’unico, né il più grande dei problemi: il potersi spiegare non evita il fatto che si venga trattati come numeri e che ci si trovi ad essere oggetto di decisioni prese dall’alto, non contestabili e comunicate all’ultimo secondo. Come il dover traslocare in due giorni, per motivi non identificabili, o vedersi sparire cose in camera propria, sequestrate dal personale del dormitorio che ne ha libero accesso.

Ci sono poi tanti piccoli fattori che hanno inciso sul mio modo di vivere qui e che trovo difficile riassumere, perchè apparentemente insignificanti. A guardare nella mia borsa, ad esempio, si trovano cose diverse rispetto a quelle che mi porto dietro quando giro in Europa: una mascherina (nei giorni ad alto tasso di polveri sottili), tanti fazzoletti (i bagni, ovunque, non mettono a disposizione carta igienica), un piccolo termos di acqua calda (si può riempire gratuitamente in molti luoghi pubblici ed è considerata la bevanda primaria).
Mai come trovandomi per un anno lontano da casa, a contatto con un mondo incredibilmente nuovo, mi sono confrontata con aspetti di me che non conoscevo. E rispondere a domande pressanti su ciò che mi ha portato fin qui, in condizioni spesso di stress estreme per la totale incomunicabilità dei miei problemi: con chi si trova qui, per motivi linguistici, e con chi sta a casa, per non averli vissuti in primis. E chiedermi dove voglia davvero arrivare con tutto ciò e perché.

Ora sono giunta ad un punto di arrivo. Sento di aver afferrato le regole della partita in Cina. E ho anche la sensazione di avere interiorizzato certe cose a tal punto che mi sarà difficile tornare a contatto con determinate abitudini in Europa. E mi immagino, al mio ritorno, di venire assalita dalle tipiche domande di rito e dai commenti stereotipati, di chi della Cina non conosce granché, se non per sentito dire, e di chi non si interessi di cose che vadano al di là del cibo, dell’inquinamento e delle mie relazioni interpersonali.
La cosa che mi spaventa di più del tornare è il riallacciare i rapporti con le persone. Non riesco a non pensare che mi sarà dannatamente difficile condividere le mie esperienze, far davvero capire cosa abbia significato per me vivere qui.

E’ il paradosso del viaggiatore che si ripete, qui forse all’ennesima potenza: anche chi mi è stato più vicino durante quest’anno e sa in certa misura quello che ho vissuto, non ha potuto condividerlo con me in tempo reale. E con chi non se ne è interessato non ha idea di quanto io possa essere cambiata in questo lasso di tempo.
Mi è ormai chiaro che al termine di ogni viaggio si prospetta un periodo di ri-adattamento. Ho semplicemente paura che stavolta durerà indefinitamente più a lungo, così come più lungo è stato il tempo che ci è voluto per ambientarmi in Cina. E conoscendomi, so che questo probabilmente mi porterà a cercare di partire di nuovo, ad iniziare un altro ciclo. A cercare persone che hanno vissuto questa incomunicabilità, a continuare a mettermi in gioco. Nel viaggio mi vedo sempre alla scoperta di me e del mondo e trovo un più grande stimolo di vita.

Author: Fiorella

Poliglotta e viaggiatrice improvvisata. Ho vissuto in Germania, Cina e Costa Rica. In questo blog racconto della mia vita a contatto con la cultura dei paesi in cui vivo, delle mie riflessioni ed avventure quotidiane e delle mie esperienze di viaggi.

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