Ho scritto questo elenco col proposito di condividerlo in una data simbolica, ma sono stata oberata di impegni e sensazioni sempre nuove, da pensare che in fondo non avrebbe mai potuto essere realmente completo. Ora però sono convinta di poterlo integrare nel tempo con nuove storie.
Dopo quasi 6 mesi di soggiorno ecco finalmente un bilancio di 10 cose che ho scoperto, imparato, vissuto da quando sono in Cina.
Cose che ho scoperto:
- La pubblicità mobile che si legge dal finestrino andando in metropolitana.
- Frutta e verdura mai vista, spesso dal sapore più intenso di quello europeo.
- Che un locale grande come una toilette, e non per forza più pulito, può essere adibito a negozio o ristorante.
- Che la nebbia ha un aspetto tutto suo e si mescola con lo smog. Purtroppo non un’esclusiva di Pechino.
- I pantaloncini bucati per agevolare i bisogni dei bambini. A volte solo un extra unito al pannolino.
- La didattica dei corsi di cinese per stranieri modello scuola elementare, con sigla da cartone animato a inizio e fine lezione.
- Le medicine a base di prodotti naturali. In genere efficaci solo sulla lunga durata (saperlo prima) e che a gusto ricordano tanto il legno carbonizzato e la soia rancida.
- La flessibilità cinese: nel fare programmi esclusivamente a breve termine, nel poter dormire ovunque, vendere di tutto e mangiare pressoché qualsiasi cosa.
- I tre più grandi optional della vita in Cina: qualità, sicurezza, igiene.
- Che in Cina manca un codice della strada. O forse sono tutti d’accordo che i motorini sfreccino sui marciapiedi, le auto non rispettino i semafori dei pedoni e le bici girino contromano.
Cose che ho imparato:
- A prendere sempre dietro la carta per andare in bagno.
- A maneggiare dovutamente le bacchette.
- Ad attraversare la strada nei modi e nei punti più impensati.
- A gestire la vita in spazi ristretti e con scarse comodità.
- A mettere in discussione il mio concetto di proprietà privata.
- A leggere un menù abbastanza per capire cosa ordinare. Ma non per sapere cosa mi troverò nel piatto.
- Che il cibo prima si cuoce, poi si fotografa, poi si mangia.
- Che le informazioni vanno chieste, perché mai vengono condivise.
- Che la burocrazia è lì per poter essere aggirata e le regole per essere infrante.
- A fare piani alla giornata e abituarmi comunque a cambiarli più e più volte in corso d’opera.
Cose che ho vissuto:
- Una semplice e accogliente ospitalità, che non guardava in faccia al fatto che a volte capissi poco di quello che mi veniva detto, ma cercava costantemente di farmi sentire a mio agio. E di nutrirmi, tanto.
- Profondo stress nel vedere i miei piani di una giornata, di una settimana o più sfumare da un momento all’altro per pessima organizzazione o mancate comunicazioni.
- Il sentirmi senza una via di fuga nel mese in cui il mio passaporto era bloccato alla stazione di polizia per il rinnovo del visto.
- La quasi totale mancanza di privacy in normali condizioni di vita studentesche.
- Un indicibile senso di impotenza per via del non sapermi esprimere in lingua, non capire e dover sottostare a decisioni altrui senza poter ribattere. E sconforto nel vedere che molti cinesi non mostravano interesse a venirmi incontro.
- Il percepire le distanze in modo nuovo: da un lato l’abituarmi al fuso rispetto all’Europa, dall’altro il prendere coscienza della vastità di Pechino in primis e della Cina in sé.
- Trovarmi malata e avere la sensazione di non poter guarire a causa dell’aria che respiravo.
- La convivenza con lo sporco, la confusione e il caos.
- La scarsa lena di molti tassisti, camerieri e impiegati statali e la generale mancanza di competenza sul lavoro.
- Il sovrappopolamento e le sue conseguenze sulla vita, gli spostamenti e i modi di fare delle persone.